In attesa del rating: la decrescita del Pil ci fa tutti meno felici

L’economia italiana attende il giudizio sulla sua situazione economica e del debito da parte delle agenzie di rating. Sarà un esame difficile per molti motivi. Il giudizio degli analisti è diretto al debito della Repubblica italiana: sarà sostenibile? Marco Ferrando vicedirettore di Avvenire nel suo editoriale on line traccia una direzione: “La sobrietà della prima manovra del governo Meloni e il violento inasprimento del quadro macroeconomico – la corsa dei prezzi e dei tassi, le incertezze geopolitiche crescenti a cui si è aggiunta la nuova guerra in Medio Oriente – fanno sì che questa volta dalla pagella sui titoli di Stato e sugli indirizzi politici da cui dipendono, potranno essere tratte indicazioni più generali sull’economia italiana e la sua capacità di reazione a una congiuntura molto più difficile delle previsioni anche recenti. Insomma, questi esami d’autunno possono rappresentare quel check up che non si faceva da tempo, rinviato per forze di causa maggiore o perché, tutto sommato, il sistema Paese sembrava piuttosto in forma. In pochi mesi molto è cambiato. Da una società che mostra continui segnali di sofferenza e scollamento, come ci ricordano i due milioni di famiglie italiane in povertà assoluta denunciati dall’Asvis, alle aspettative sempre più modeste sulla crescita del Pil. Il doppio balzo del 2021 e del 2022 (rispettivamente 8,3 e 3,7%) sono ormai un lontano ricordo, come dimostra il deteriorarsi delle aspettative delle ultime settimane: per il 2023 il Governo punta a uno 0,8% ormai fuori portata per molti (a partire da Banca d’Italia, che ha corretto allo 0,7%) e le aspettative intorno al punto percentuale per gli anni a venire sono un terno al lotto”. 

E poi c’è il debito, il problema dei problemi che ormai travalica i confini della finanza pubblica. Tra i conti salatissimi del superbonus e l’ingresso in una stagione di tassi alti, senza correzioni significative il rapporto debito/Pil rischia di salire dal 140,2% attuale al 171% nel 2041 (fonte Ufficio parlamentare di bilancio) e dal 2026, stima questa volta il Mef nel Documento programmatico di bilancio, gli interessi sul debito ci costeranno il 4,6% del Pil, superando la soglia dei 100 miliardi l’anno. Una somma che da sola vale quasi quattro manovre Giorgetti, e che dà la misura di quanto il presente e il passato siano a carico delle generazioni future. Stasera è atteso il primo verdetto, quello di Standard & Poor’s. 

L’esame più difficile sarà l’ultimo, e non solo perché cade di venerdì 17 (novembre): a esprimersi sull’affidabilità del debito sovrano sarà Moody’s, l’agenzia che ci vede già nell’ultimo scalino degno di investimento; con una bocciatura può spedirci tra i titoli spazzatura, con conseguenze sui mercati a cui è meglio non pensare. Si può e si deve, invece, pensare a tutte le risorse di cui dispone il Paese, e di cui non potrà fare a meno nella nuova normalità con cui stiamo iniziando a fare i conti. 

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